Nuovi contratti a termine: causale obbligatoria, meno proroghe

Nuovi contratti a termine: causale obbligatoria, meno proroghe

20 giugno 2018

 

Il contratto a termine torna al passato: la flessibilità che era stata concessa col Jobs Act [1] è stata messa in discussione dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, per evitare gli abusi nell’utilizzo del tempo determinato da parte delle imprese. In particolare, tornerà l’indicazione obbligatoria della causale del contratto, il cui termine potrà essere giustificato solo per ragioni tecnico-produttive, organizzative o sostitutive, mentre il numero massimo di proroghe sarà ridotto da 5 a 4. La proposta ha suscitato notevoli perplessità: da un lato, si teme che il ritorno alla causale del contratto sia fonte di contenzioso, dall’altro si teme che la riduzione delle proroghe favorirebbe ancora di più il precariato, costringendo le aziende a un maggior ricambio dei lavoratori a tempo determinato. Ma vediamo subito, dopo aver ricordato qual è l’attuale disciplina del rapporto a tempo determinato, come funzioneranno i nuovi contratti a termine: causale obbligatoria, meno proroghe, quali sono le nuove tutele ipotizzate e che cosa potrebbe cambiare nei contratti di somministrazione a tempo determinato.

Qual è la durata massima del contratto a termine?

Ad oggi, il contratto a termine può avere una durata massima di 36 mesi, comprensivi di eventuali proroghe.

Dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato, o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro può proseguire di fatto:

  • per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi);
  • per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi);

In queste ipotesi, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al dipendente una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto, pari al 20%, fino al decimo giorno successivo, ed al 40% per ciascun giorno ulteriore.

Se il rapporto di lavoro oltrepassa il periodo di prosecuzione di fatto, il contratto si considera trasformato da tempo determinato a tempo indeterminato, a far data dal superamento dei 30 o dei 50 giorni.

Quante volte può essere prorogato il contratto a termine?

Il contratto a tempo determinato, a oggi, può essere prorogato sino a un massimo di 5 volte. Perché sia valida, la proroga deve essere accettata e firmata dal lavoratore, nonché comunicata telematicamente ai servizi per l’impiego del proprio territorio, con modello Unilav.

Quante volte potrà essere prorogato il contratto a termine con la nuova disciplina?

Secondo la nuova proposta di modifica della disciplina del contratto a termine, il numero massimo di proroghe passerà da 5 a 4. Questo, per evitare l’abuso dei rinnovi “infiniti” a discrezione dell’azienda, dunque per offrire più certezze ed una maggiore possibilità di organizzarsi al lavoratore. Tuttavia, bisogna osservare che il numero massimo di proroghe non sono riferite alla totalità dei rapporti di lavoro tra azienda e lavoratore nell’arco del limite di durata di 36 mesi, ma sono riferite al singolo contratto. Ciò vuol dire che le aziende, per ovviare all’inconveniente del numero massimo di proroghe, possono, dopo la scadenza del contratto a tempo determinato, rispettare il periodo di pausa e ripartire da zero con un nuovo contratto.

Come funziona il periodo di pausa tra due contratti a termine?

Secondo l’attuale disciplina del contratto a termine, se il rapporto di lavoro cessa, e si intende stipulare un nuovo contratto a tempo determinato, è necessario che trascorra un lasso di tempo tra il primo e il secondo contratto, il cosiddetto periodo cuscinetto, o stop and go, pari a:

  • 10 giorni, se la durata del primo contratto è inferiore ai 6 mesi;
  • 20 giorni, se la durata del primo contratto è superiore ai 6 mesi.

Gli intervalli sono stati ridotti dal Decreto del fare [2], in quanto la riforma Fornero del mercato del lavoro li aveva portati, rispettivamente, a 60 e 90 giorni.

Il mancato rispetto di questo periodo di pausa determina la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato. L’attuale proposta di modifica del contratto a termine non prevede novità nella disciplina del periodo cuscinetto.

È possibile superare i 36 mesi di contratto a termine?

Vi sono determinate ipotesi, ad oggi, nelle quali è consentito stipulare un nuovo rapporto a tempo determinato, nonostante siano raggiunti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione, aventi ad oggetto le stesse mansioni o mansioni equivalenti.

Il nuovo contratto di lavoro, perché sia valido, deve essere stipulato presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente, con l’assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Possono essere poi previste specifiche deroghe al superamento del periodo di 36 mesi da parte dei contratti collettivi.

L’attuale proposta di modifica del contratto a termine non prevede novità nella disciplina delle deroghe alla durata massima del rapporto di lavoro.

Causale del contratto a termine

Sino a pochi anni fa, perché un contratto a tempo determinato fosse valido doveva riportare obbligatoriamente una causale, cioè un valido motivo che giustificasse il termine del rapporto di lavoro.

 

La causale era stata dapprima parzialmente abolita dalla legge Fornero di riforma del mercato del lavoro 2012, per poi essere totalmente cancellata dal Jobs Act.

Con l’attuale proposta di modifica del contratto a termine si vorrebbe, invece, reintrodurre la causale per ogni rapporto a tempo determinato. Le ragioni che giustificheranno l’apposizione del termine al contratto, in particolare, dovrebbero essere le seguenti: ragioni tecnico-produttive, organizzative o sostitutive. In buona sostanza, si potrà far ricorso al tempo determinato solo se giustificato da esigenze tecniche o connesse all’organizzazione o alla produzione o, ancora, per sostituire lavoratori assenti.

La reintroduzione di queste causali, secondo gli esperti, potrebbe però far sorgere un elevato numero di cause di lavoro: in effetti è molto difficile stabilire, nel concreto, la validità e l’effettività delle causali giustificative del termine, in quanto la loro valutazione presuppone la sindacabilità delle scelte del datore di lavoro.

Come funziona il contratto di somministrazione a termine?

Ad oggi il contratto di somministrazione, rispetto al contratto a termine, è soggetto a meno vincoli: ad esempio, non è previsto alcun periodo cuscinetto tra due diversi contratti di somministrazione, il che dà la possibilità di prorogare il rapporto anche settimanalmente.

 

Tuttavia, qualora siano superati 42 mesi di lavoro, anche non consecutivi, presso la stessa agenzia di somministrazione, si ha diritto all’assunzione a tempo indeterminato da parte dell’agenzia; lo stesso avviene in caso di superamento di 36 mesi di missione presso uno stesso utilizzatore, nell’ambito però del medesimo rapporto.

L’attuale proposta di modifica del contratto a termine vorrebbe incidere anche sulle regole della somministrazione, disciplinando questo contratto in modo più stringente al fine di evitare abusi, ricorso indiscriminato allo strumento e proroghe continue.

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