Non si possono punire gli evasori dal 2015 in poi

Non si possono punire gli evasori dal 2015 in poi

10 ottobre 2019

Uno degli strumenti più efficaci nella lotta all’evasione, il redditometro, è fermo: così sono bloccati gli accertamenti fiscali dal 2015 in poi. Perché?

 

Sembra paradossale che la lotta all’evasione si fermi proprio nel momento in cui servono con urgenza 7 miliardi di euro: è questo il gettito dei proventi che il Governo, stando alla Nadef (nota di aggiornamento al documento di economia e finanza) presentata nei giorni scorsi, spera di recuperare attraverso le «nuove misure di contrasto all’evasione, alle frodi fiscali e per il recupero del gettito tributario» per coprire la manovra finanziaria in arrivo, evitando così aumenti dell’Iva e clausole di salvaguardia che costerebbero care.

Eppure il Fisco ha rinunciato ad utilizzare una delle sue armi migliori, il redditometro, che accerta la congruenza tra il tenore di vita e i redditi dichiarati: se le spese annue superano del 20% i guadagni, bisogna chiarire la sproporzione e da dove derivano queste fonti (ad esempio prestiti di familiari oppure redditi esenti o già tassati alla fonte, come le vincite), altrimenti si presume che ci siano introiti non dichiarati e scatta inesorabile l’accertamento, con il recupero di tutta la differenza e l’applicazione di severe sanzioni.

 

 

Ora però lo strumento si è arrestato e non può più funzionare: non si è rotto ma è finito lo stesso ko, per colpa di cosa lo vedremo subito, per colpa di chi non è facile stabilirlo. Come una pistola scarica, che ha finito le munizioni e non può sparare finché non arriveranno le nuove cartucce. Così gli accertamenti sui redditi delle persone fisiche sono fermi: ne avevamo già parlato in più facile evadere niente controlli fiscali anticipando questo strano fenomeno che appariva già la scorsa estate, e adesso la situazione si è aggravata.

Tutto è fermo e tace anche a livello dei rumors di questi giorni, le voci di corridoio e le indiscrezioni più o meno qualificate che tentano di intravedere, nel blindatissimo lavoro che i tecnici del ministero dell’Economia stanno conducendo, quali saranno i provvedimenti che il Governo presenterà entro la settimana prossima. Si stanno infatti definendo i contenuti della legge di Bilancio che dovrà essere ufficialmente presentata in Parlamento entro il 20 ottobre ed all’Unione europea qualche giorno prima, per avere l’assenso preventivo sul rispetto dei vincoli comunitari ed evitare guai che si tradurrebbero in sanzioni economiche se i parametri proposti dall’Italia non saranno ritenuti adeguati o se gli impegni presi non daranno garanzia di essere rispettati.

Finora nulla trapela proprio sul redditometro, mentre c’è vita su parecchie altre iniziative, come il risparmiometro che negli obiettivi del Governo serve anche per la lotta al denaro contante, essendo collegato alla superanagrafe dei conti correnti destinata a tener d’occhio i risparmi accumulati in banca; fino ad arrivare alle recenti proposte di un nuovo software antievasione annunciato dal leader M5S Luigi Di Maio e sponsorizzato anche dal presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Ma si tratta di strumenti che ancora devono vedere la luce, mentre il redditometro già c’è da molti anni e la sua applicazione è sempre stata proficua: fino al 2018 (gli ultimi dati disponibili) con quasi 3mila controlli eseguiti ha consentito di scovare più di mille evasori totali o paratotali, che non dichiaravano al fisco nulla o quasi.

L’ultimo segnale di vita del redditometro è stata una circolare dell’8 agosto scorso dell’Agenzia delle Entrate [1] che però segnava la morte annunciata di questo strumento di accertamento perché stabiliva lo stop alla possibilità di applicarlo per le dichiarazioni dei redditi successive al 2015 (in positivo, prevedeva che gli uffici potessero utilizzarlo solo per le dichiarazioni dei redditi presentate entro il 2016, quindi relative all’anno d’imposta 2015 incluso, che così in concreto è diventata l’ultima annualità accertabile).

Il risultato è tanto semplice quanto sconcertante: non si possono punire gli evasori dal 2015 in poi utilizzando il metodo del redditometro. Questo tipo di verifica era stato sospeso con il Decreto dignità [2] lo scorso anno: all’epoca si pensava ad un congelamento solo momentaneo e si era stabilito che dovesse essere potenziato e ridefinito tenendo conto in partenza anche delle normali e più comuni spese dei contribuenti e delle quote destinate al risparmio; ma per fare questo, occorreva un apposito decreto ministeriale attuativo che avrebbe dovuto stabilire i criteri da applicare. Inutile dire che non è mai stato emanato e non sono incominciati neppure i previsti incontri con le principali associazioni dei consumatori, che erano state chiamate a contribuire con la loro voce rappresentativa per definire comportamenti, abitudini, propensioni di spesa ed esigenze degli italiani.

Intanto, però – e da qui è nata la paralisi – è stato abrogato il previgente decreto ministeriale, risalente appunto al 2015, considerato non più valido per fondare gli accertamenti. Come nelle migliori intenzioni, prima di costruire la casa nuova si è deciso di demolire la vecchia. Il redditometro rimane come struttura ma non c’è modo di applicarlo, fin quando non sarà emanato il nuovo decreto che all’orizzonte ancora non si vede perché, a quanto pare, nessuno si sta preoccupando di predisporlo.

Così c’è il rischio che a fare le spese di tutto questo siano i cittadini onesti: se i 7 miliardi che si spera di recuperare dall’evasione fiscale non arriveranno, a pagare il conto sarà ancora una volta chi le tasse le ha sempre pagate. A meno che qualcuno non escogiti uno strumento altrettanto valido per far emergere il sommerso; idee e proposte, come abbiamo visto, non mancano, ma ci si è dimenticati di una macchina ancora ben funzionante che viene tenuta ferma.

 

https://www.laleggepertutti.it/324198_non-si-possono-punire-gli-evasori-dal-2015-in-poi?fbclid=IwAR3znUJ2O4YrCOzK6HYcuSUAy8QOz0IsyhE6v9t8KeecktKZ_SLdUD8oNKo

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